ANDREA DE LUCA

I riconoscimenti

2015
Primo premio selezione pittura
Biennale Internazionale ROMART, Roma

2017
“lo spirito della modernità dalla pop art ad oggi”
Stadio Domiziano, Roma

2019
Finalista premio Engenart
Palazzo degli Innocenti, Firenze

2020
Selezionato per il circuito ART CITY
Arte Fiera

La critica

“Trasparenze”

Si tratta di un universo in cui paesaggio e figure umane si fondono, ma non si confondono.
Domina un senso di un’attesa infinita che non trova risposte e quindi è costretta a prolungarsi, proiettandosi in un vuoto che dominante come un’atmosfera in cui tutto diventa enigmatico, anche ciò che sembra fatto di cose conosciute, siano esse nature vive o morte, raccolte da una tecnica che è come una rete a maglie fitte. I riferimenti sono quelli della grande pittura nord europea, i colori del Gruppo Cobra, tutti alla prima senza mescolamenti e sovrapposizioni che non siano quelli strettamente necessari ad una connotazione distensiva dello sguardo, tra complessità e semplicità.

Francesco Gallo Mazzeo, docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Roma, già direttore del corso di laurea per Progettisti di Moda dell’Accademia di Palermo e consulente della Mondadori per il Catalogo dell’Arte Moderna, dal 1991.

Tratto da “Buscadero”

De Luca esce omonimo come gli album destinati a contrassegnare nel percorso dei loro artefici un cambiamento di rilievo. Prende le mosse dalle storie dei numerosi ragazzi italiani e non, incontrati dai due tramite il mestiere di educatori di strada, per raccontarne con taglio personale (poetico e visionario anziché cronachista), il loro cammino tortuoso e difficile. Questo disco disegna un piccolo affresco privo di
retorica, slogan o locuzioni affettate sulle contraddizioni e i sogni, gli equilibri precari e le lacerazioni invisibili, l’amarezza lunare e le controversie rabbiose, dei giorni indecifrabili in cui ci troviamo a vivere, distinti da un “torcicollo nel mondo che non ci fa vedere chi siamo!” Nei nomi di Miky (arrivato migrante
su un barcone) Mò, Aurora, Daniel da Bucarest, Milo e tutti gli altri, c’è il desiderio di fare i conti con la memoria storica delle nostre passioni per non rimuoverle e c’è uno sforzo di riflessione rivolto verso il presente fatto di slancio e lucida razionalità.

Gianfranco Callieri, giornalista e critico musicale.

“Il ritorno della pittura”

De Luca ha come quadro di riferimento il periodo compreso tra la svolta dell’impressionismo e il primo manifestarsi, col dadaismo, d’una volontà di collocare l’arte fuori dallo specifico pittorico. De Luca ha chiari due concetti: il primo è che l’arte deve sondare l’essenza intima delle cose, visione cezanniana d’un
reale strutturato o strutturabile in forme geometriche primarie che l’artista rende visibili “solidificando” l’impressionismo.
Il secondo postula un substrato più profondo: la materia, l’energia, l’istintualità.

Mario Bologna critico d’arte e giornalista Roma, Maggio 1995.

“Il paesaggio e l’anima”

Da Van Gogh in poi, il dubbio su “ciò” che si vede e sul “come” lo si vede è parte del fare artistico al punto di invadere la sfera ontologica di tutti noi. De Luca, riesce a dipingere con disarmante quanto virtuale spontaneità, reagendo con l’azione e col gesto immediati alle perplessità del moderno, affermando la volontà di conservare spazio alla leggerezza dell’invenzione, soprattutto garantendo verità
a se stesso e all’arte cui è dedito.
Nelle tele De Luca imprime uno stato d’animo: la pura emozione si contrappone alla civiltà ipertecnologica. L’artista sembra suggerirci che, sul limite della trasformazione ambientale, noi guardiamo questi paesaggi con la consapevolezza che le immagini ci giungono quando la loro fonte stessa è sulla soglia della sparizione; E allora il gesto pittorico li vuole conservare trasformandoli in dimensione poetica.
La serie e dei tetti e dei ponti, viene costruita come un patchwork al di sotto del quale si intravedono i muri delle case che, come monumenti muti e lontani nel tempo, sigillano una vita a noi sconosciuta.
Questo ricalco espressionista, ci priva della presenza di porte e finestre, inquietandoci e contemporaneamente attraendoci verso un possibile mistero. Nelle viste di periferia poi, le forme si animano di colori e le superfici si increspano di fitte pennellate che imprigionano luce e movimento, ottenendo sprazzi di luminescenza alla maniera di Turner.

Mario Corfiati, titolare di Storia dell’Arte presso l’Accademia delle belle Arti di Napoli.

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